Non si arriva per caso sul tetto del mondo. Se, grazie alla Nuova Zelanda, Filippi quel tetto lo ha raggiunto con l'8+, su un bacino come il Sea Forest Waterway di Tokyo – che, per ragioni idrodinamiche, sottopone i materiali a stress senza precedenti – vuol dire che dietro le quinte si è operato al meglio, senza trascurare i dettagli. Come ci insegnano gli ingegneri del Filippi Lab, costantemente impegnati ad analizzare al computer dati virtuali e prove al vero su ogni centimetro delle nostre imbarcazioni, non è possibile pensare di intervenire su un aspetto della costruzione di un modello trascurando l’intero.
È così che si opera nel backstage di Filippi: nel caso dell’otto, le simulazioni preventive del FEM (ossia relative all’analisi degli elementi finiti dei modelli meccanici) hanno permesso di individuare deformazioni che, non seguendo una curva continua, producevano un aumento dello strato limite delle particelle d’acqua attaccate allo scafo in alcune zone della barca. Il risultato? Un incremento della resistenza.
Dal
momento che non si ha a che fare con materiali isotropi come l’acciaio o
l’alluminio (le cui caratteristiche meccaniche sono identiche in tutte
le direzioni) ma ortotropi come i compositi (in cui si verificano
comportamenti diversi per ogni strato di laminazione) non era scontato
apportare correttivi al manufatto, che va valutato nella propria
interezza.
Per farlo è stato necessario confrontare le simulazioni di
applicazione degli incollaggi, piuttosto che le caratteristiche dei
singoli materiali, con decine di provini di stratificazione effettuati
al vero nei nostri laboratori o per nostro conto da Università come
quella di Messina e sottoporli a programmi risolutivi come Nastran di
Siemens, che hanno validato le azioni sul modello. Se si pensa che ogni
imbarcazione è realizzata su misura anche in termini di irrigidimenti,
immaginatevi il lavoro che c’è dietro. Senza contare la parte
fluidodinamica che comprende le geometrie del dell'imbarcazione, i
carichi prodotti dagli atleti e i vincoli, come la resistenza in acqua.
Non si è trattato di verifiche sommarie ma di prove centimetro per centimetro: per la precisione, ogni 3 mm di barca e fino ad un decimo di millimetro. È il caso del nostro sandwich, realizzato con stratificazioni molto sottili, che comportano variabilità dei risultati. Il fatto stesso che ogni piano di tessuto che viene sovrapposto all'altro si comporti diversamente rende l'idea delle difficoltà da affrontare nelle azioni da intraprendere sui cosiddetti “punti deboli” del progetto.
Immaginate infatti la barca scomposta in una serie di triangolini diversi, con un loro nome e cognome secondo la posizione e il tipo di stratificazione (elementi finiti). Aggiungeteci i carichi, cioè le forze, (ossia il remo e l'atleta) trasmesse allo scafo e la resistenza prodotta dall'acqua.
Tutti questi valori messi insieme possono produrre al computer curve deformate non costanti, che vanno interpretate come discontinuità della pressione dell’acqua su cui occorre intervenire per migliorare la performance della barca. Non ci si è accontentati però di conoscere la consistenza di tutte le aree dell'imbarcazione e di affidarle all'analisi computerizzata dei prodotti finiti. Quel risultato è stato ottimizzato con una successiva prova reale, che ha dato allo studio degli elementi e al manufatto la veste attuale.
Uno dei punti sui cui ci si è soffermati di più è quello dello smontabile che, ovviamente, produce una discontinuità del profilo dell'otto Filippi.
Gli studi effettuati hanno imposto delle modifiche al sistema di sezionamento, dal momento è stato rilevato che l’applicazione di carichi sul piano dell’acqua produceva nell’analisi al computer una strana “curva”, sinonimo di una traslazione delle due facce della sezione dell’otto non visibile a occhio nudo.
A questo punto l’obiettivo è diventato facilitare l’assemblaggio con riferimenti talmente precisi da rendere praticamente impossibili errori in quel senso. Il problema era essenzialmente legato all’imperfetta centratura dei fori di fissaggio della sezione di prua e di quella di poppa, che non consentiva una trasmissione dei carichi simmetrica. L'intervento è stato radicale: la sostituzione dell'intercapedine di compensato marino da 17 mm con una di PVC da 25 mm per ogni lato. Da qui la loro stratificazione in carbonio e la successiva foratura con una macchina a controllo numerico dei nove fori di collegamento, dove viene alloggiata la bulloneria.
Con la stessa accuratezza è stato possibile collocare le boccole filettate in acciaio 316L nelle cavità realizzate, il cui ruolo (considerando la loro infinita durata) è quello di assicurare nel tempo il trasferimento dei carichi alla sezione, evitando che la bulloneria ne provochi lo schiacciamento.
Adesso si ha davvero una perfetta distanza tra testa della vite e l'accoppiamento delle due parti della sezione e, anche in caso di carichi anomali, la vite non può torcersi e resterà sempre perpendicolare alla faccia dello smontabile. Ciò equivale a grande semplicità di accoppiamento e a un gioco delle nove viti inferiore a 1/10, un livello di precisione in meccanica quasi irraggiungibile. In pratica, nessuna possibilità di traslazione e dunque la garanzia dell'affidabilità assoluta di un successo epocale.